La vita quotidiana fornisce infiniti spunti per riflettere su come funzioniamo noi e i sistemi in cui siamo inseriti.
Scena comune: entri in un bar dove ci sono un gruppo di persone che stanno commentando un evento sportivo, sembrano tutti ritenersi degli esperti e di sapere meglio di chi sta giocando, e da sempre si allena costantemente, cosa si deve fare. Addirittura, quando si tratta di alcuni sport gli animi si accendono fortemente quasi si trattasse di vita o di morte e persino la persona che meno ha passato tempo su un campo di gioco si esprime e argomenta come se lui/lei avrebbe fatto decisamente meglio.
Allo stesso modo questa dinamica si estende ai vari ambiti di vita. C’è chi fa e chi passa il tempo a commentare; poco importa se davvero si conosce la materia, la situazione che viene affrontata, tutte le sfide superate che non si vedono e che si tratti di “tifoseria” o “critica”.
A tutti capitano momenti in cui si è più attivi, in cui ci si mette maggiormente in gioco, e momenti in cui si sta “in panchina”. Di per sé è un flusso normale e fisiologico, come d’altra parte occorre anche mettere in conto errori e fallimenti. Quello che non funziona davvero è quando si vuole stare al centro a tutti i costi anche se sarebbe meglio delegare o far entrare in campo un altro giocatore e, dall’altro, si sta perennemente “in panchina” per non rischiare, per non affrontare quella immagine ideale che ci si era creati.
Lavorare su se stessi è difficile, ma è importante se non si vuole sprecare il tempo a occupare uno spazio che non è il proprio per paura di lasciare andare il controllo magari o per paura di scoprire, e non può mai essere così, di non avere altre capacità e talenti da sviluppare. Allo stesso modo il percorso interiore è fondamentale per lasciare andare quelle convinzioni limitanti che ci impediscono di metterci in gioco e sperimentarci.
Restare fermi a fare sempre le stesse cose potrebbe mettere in parte al sicuro da maggiori rischi e fallimenti, ma porterebbe al fallimento proprio dello scopo per il quale si è venuti al mondo ovvero divenire perfettamente se stessi. Non si tratta di diventare perfetti, ma sempre più esplorare parti di noi, manifestare i nostri talenti ed esercitare punti di difficoltà, affrontare nuovi percorsi per poter crescere.
Il “tifo” degli altri potrà certamente nutrire parti del nostro ego, dal bisogno di essere riconosciuti come vincenti, come di successo, per il prestigio, per la competenza e altre sfumature, a seconda dell’enneafase che viviamo, ma ciò di cui abbiamo realmente bisogno è esprimerci e riconoscerci per primi il nostro valore.
E’ sempre piacevole qualcuno che ci fa da sponsor, ma prima di tutto occorre mettersi in gioco, sperimentarsi, allenarsi, cadere, rialzarsi, conoscersi, fare esperienza di se stessi.
Non abbiamo sviluppato la capacità di vivere il fallimento come parte del processo, ma c’e’ sempre tempo, occorre solo “fare” ed esercitarsi.
Nello sport, nel lavoro, nella gestione del nostro benessere, nelle relazioni, ogni volta che si affronta un momento difficile e di trasformazione, quando ci troviamo davanti al mistero occorre rivedere il concetto di sfida e fallimento per potersi permettere di esplorare e riprogettare, trasformando così le difficoltà in opportunità.
E tu sai metterti in gioco, essere tifoso di te stesso e riconoscere il tuo valore, al di là degli altri, andando oltre i limiti di ieri?