Come recuperare il buon governo all’epoca delle distrazioni?
Viviamo in un tempo raffinato sotto certi aspetti, ma dominato da una crescente complessità. Una complessità che offre opportunità straordinarie, ma che, se non governata, apre varchi a decisioni poco etiche, scorciatoie miopi, frammentazione delle responsabilità.
Navigare tra l’eccesso di semplificazione e l’iper-specializzazione non è facile. Dopo anni segnati da crisi, trasformazioni, adattamenti forzati, è naturale sentirsi affaticati. Ma proprio per questo, oggi più che mai, occorre reimparare a governare e a governarsi.
Governare non è un ruolo, ma un’abilità da coltivare
Oggi governare significa esercitare un’attenzione nuova: vedere l’insieme senza perdere di vista i dettagli, semplificare senza banalizzare, scegliere con consapevolezza. Non basta più delegare, reagire o gestire con automatismi.
Dall’altra parte, non possiamo arrenderci alla complessità, rifugiarci nel disincanto o nella paralisi. Non fare nulla è anch’esso un atto di governo. Spesso il meno utile.
Servono lucidità, discernimento, una certa fermezza gentile. Servono strumenti interiori più che esterni. Perché governare non riguarda solo sistemi, aziende, istituzioni: riguarda ogni gesto quotidiano in cui scegliamo come stare nelle relazioni, nel lavoro, nella cura, nella parola.
Due esempi emblematici: salute ed educazione
La salute è uno dei luoghi dove questa complessità si mostra in modo evidente. Dopo la pandemia, nessun approccio – né allopatico né olistico – può più prescindere dal considerare le numerose variabili in gioco: effetti del virus, degli isolamenti, dei vaccini, dello stress collettivo. Ogni persona è una trama unica, e ogni cura richiede ascolto, aggiornamento, visione integrata.
L’educazione non è da meno. I giovani che hanno vissuto l’adolescenza tra lockdown e iperconnessione si muovono in un paesaggio interiore e relazionale molto diverso da quello delle generazioni precedenti. Le frequentazioni scolastiche da sole non bastano. Serve recuperare il valore dello studio, ma anche ricostruire il senso del confronto, del pensiero critico, della responsabilità personale.
In entrambi i casi, non si tratta di legiferare o controllare tutto, ma di recuperare una postura etica, interiore, generativa. Una “volontà di bene” che non sia ingenua, ma lucida. Radicata. Esigente.
Allenare il governo di Sé: alcune domande utili
Riportare consapevolezza nei nostri gesti quotidiani è già un atto di governo. Possiamo cominciare da qui:
- Ci sono obiettivi che si ostacolano a vicenda? Posso rivedere le priorità in modo più coerente con il contesto e con gli altri coinvolti?
- Sto investendo le giuste risorse nei punti essenziali o mi disperdo? Dove sto perdendo energia? Dove serve un taglio, un chiarimento, un confine?
- Riconosco ciò che funziona? So valorizzare il buono, ma anche correggere le inefficienze senza colpevolizzare?
- Ho ancora un senso di direzione o vado a rimorchio degli eventi? E se non controllo tutto, riesco comunque a trovare un senso in ciò che accade?
- Ci sono variabili importanti che sto trascurando? Posso riaprire la visione su un progetto, una relazione, una scelta?
Conclusione: governare come forma di cura
La complessità non va combattuta, ma attraversata con intelligenza, onestà e intenzione. Non possiamo evitarla, ma possiamo imparare a viverla senza esserne sopraffatti. In questo, l’arte del governare – e del governarsi – diventa una forma di cura, di presenza, di servizio alla vita.
Non è questione di titoli o poteri, ma di attenzione al bene comune.
Se ti ha risuonato, ti invito a condividere:
Qual è il tuo modo di governarti nella complessità?
Che cosa ti sostiene? Dove fai più fatica?